Mi è capitato in più di un’occasione di trovarmi a parlare di vino lontano dal Friuli e di finire inevitabilmente sull’argomento “Tocai” , quel vitigno che ha dovuto cambiare nome e si è accontentato di restare “Friulano”. Nonostante la troncatura nel nome, quell’aggettivo diventato nome rappresenta comunque in maniera perfetta il suo territorio d’origine e lo identifica. Parlandone finivo sempre per portare alcuni esempi che - a gusto personale - rappresentano per me la tipicità, quell’esperienza da provare per arrivare a capire, per assaporare un territorio attraverso un calice di vino. Tra questi sicuramente una delle mie scelte sicure è il Friulano di Colle Duga , realtà ormai affermata in Friuli e nel mondo, la cui avventura è cominciata qualche decennio a Zegla, a cavallo tra Slovenia e Italia, nel cuore della DOC Collio. Dieci ettari vitati sulla collina Duga, dove l’uva trae il suo nutrimento dagli strati di marne e arenarie che qui vengono comunemente chiamati “ ponca ”. Il
Per la prima volta sulle pagine di Beregionale mi voglio addentrare in uno dei territori “sacri” del vino italiano, il Piemonte . Lo farò attraverso un racconto, una narrazione legata al momento in cui ho scelto di dedicarmi per quasi un mese mi sono avvicinato ai vini rossi piemontesi, in particolare alla Barbera . Non sono certo il primo - e non sarò mai neppure l’unico - ad amare il Piemonte e i frutti della sua terra. In questa meravigliosa regione però ci sono stato soltanto per motivi di lavoro, finora mai per piacere. Ritengo che questa premessa sia importante: non posso e non voglio entrare nel dettaglio sul terroir o sulle tecniche di produzione come potrei fare parlando di una cantina in Friuli, Trentino e Alto Adige. Terra di straordinari vini, il Piemonte è soprattutto conosciuto per i suoi rossi. Per avvicinarmi alla terra di Barolo, Barbera e Dolcetto ho dovuto per prima cosa mettere da parte ogni preconcetto: più “puro” l’approccio, più libera la mente, più vera sarebbe